
TITOLO: Il Leviatano
GENERE: «In parte horror, in parte fantasy, in parte giallo storico» – The Guardian
CASA EDITRICE: Neri Pozza
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2022
PAGINE: 316
TRADUZIONE DI: Elena Cantoni
CODICE ISBN: 978-88-545-2998-4
GIUDIZIO: ★★☆☆☆
«Era un tempo di streghe, un tempo di santi. Un tempo in cui i conigli braccavano le volpi, in cui i bambini nascevano senza testa e i re la perdevano sul patibolo. Era un mondo alla rovescia, o così dicevano alcuni.»
Norfolk, 1643. Fra sei anni, dopo una sanguinosa guerra civile, Carlo I Stuart sarà portato sulla forca, diventando il primo re ad essere stato processato e condannato a morte per alto tradimento. Prima che tutto questo accada, però, Thomas Treadwater si è arruolato nell’esercito del parlamento e ha già fatto esperienza delle atrocità e delle insensatezze della guerra. Ferito in battaglia e congedato, sta per fare ritorno alla vita tranquilla di campagna, non prima, però, di aver ricevuto una lettera preoccupante da sua sorella Esther. Sembra che il male si sia insediato in casa, che abbia corrotto loro padre e maledetto terre e bestiame. Questo male ha un volto e un nome: Chrissa Moore, la nuova e giovane domestica di casa Treadwater. L’accusa di stregoneria ai danni della ragazza è solo il primo passo che cambierà per sempre il corso della vita di Thomas.
Date queste premesse, mi ero ingenuamente illuso che il romanzo avrebbe approfondito l’argomento – già ampiamente esplorato, ma sempre estremamente affascinante – dei famosi processi alle streghe tanto cari al secolo decimosettimo, magari esponendo il punto di vista della vittima. Questo in parte avviene, è vero, ma solo nella prima metà del romanzo, tanto che, a fine lettura, mi sono trovato pienamente d’accordo con la definizione che ne dà il The Guardian e cioè quella di un libro che non si lascia definire: parte come giallo storico, verso la metà si dà a tinte più horror degne dell’Esorcista e finisce col diventare un fantasy con tanto di mostri marini di ascendenza biblica. Forse il titolo avrebbe dovuto avvertirmi in tal senso. Mi trovo d’accordo con il The Guardian sì, ma forse per motivi diversi: non sono del tutto sicuro che questa varietà di generi funzioni veramente. Ho come l’impressione, infatti, che nel suo esordio come scrittrice, Andrews abbia voluto mettere nel calderone (per rimanere in tema di stregoneria) buoni ingredienti, ma che mescolandoli insieme abbia prodotto solo – come direbbe saggiamente Barbieri – un grande mappazzone. Se si fosse concentrata di più sulla risoluzione di un caso di stregoneria e, perché no, dandogli pure qualche pizzico di terrore, probabilmente avrei apprezzato di più un’opera acerba eppure piacevole.
Si tratta pur sempre di fiction, tuttavia quando si sceglie di ambientare una trama in un periodo storico preciso si rischiano scivoloni a ogni giro di pagina. Mi spiego peggio: spesso mi sono ritrovato a chiedermi se un uomo inglese del Seicento, per quanto colto, avrebbe veramente avuto una visione così “progressista” della figura della donna come quella che dimostra di avere il protagonista. Non mancano giudizi misogini, c’è da ammetterlo, ma i rimorsi di coscienza di Thomas per aver dato della puttana a una donna, la sua lungimiranza nel mettere in discussione i ruoli di genere, rimanendo comunque il classico eroe gentiluomo con le altrettanto gentil donzelle, non solo lo rendono un personaggio contraddittorio di per sé, ma anche forzato per l’epoca in cui vive. Oltre a questo, ho sempre guardato con diffidenza quei tipi di libri che mettono in gioco fra personaggi di finzione altri realmente esistiti, magari pretendendo di sapere con esattezza come avrebbero agito, parlato o pensato in determinate situazioni. Questo espediente mi ricorda uno di quei discutibili gialli in cui troviamo, per fare un esempio, un Dante Alighieri detective. In questo caso il “vip” della situazione è un altro sommo poeta: John Milton, autore del celebre Paradiso perduto, nonché mentore del nostro eroe. La presenza di personaggi così importanti inseriti in una cornice paranormale, addirittura fantasy, rischia di rendere il tutto troppo ridicolo, soprattutto se poi l’autrice si sforza di creare dei collegamenti fra le vicende inventate e i fatti realmente accaduti. Per fortuna io non sono un gran conoscitore del poeta britannico e non ho avvertito troppe forzature, ma rimane una formula che continuerò a guardare con una certa titubanza.
Nel complesso, se non si fa troppo caso ad alcune delle incongruenze appena citate, la lettura risulta piacevole. Potremmo dire che non si tratta né di un libro eccezionale né di vera e propria spazzatura. Il lettore rimane comunque interessato a scoprire la risoluzione delle vicende, peccato che il “colpo di scena” che l’autrice vorrebbe far passare come tale e che serve da motore alla seconda parte dell’opera, sia facilmente prevedibile, se non dalle prime pagine, almeno già dalla prima metà del libro. Oltretutto ho spesso avuto la sensazione che la trama sarebbe potuta durare molto meno e questo si avverte soprattutto verso il finale, quando per l’ennesima volta la scrittrice si impegna nel descrivere al lettore buona parte del tragitto che personaggio A sta percorrendo per arrivare a personaggio B, senza contare alcune brevi digressioni che non fanno altro che creare fastidio quando dovrebbe esserci tensione.
In definitiva consiglierei l’esordio di Rosie Andrews a coloro che cercano una “lettura da ombrellone”, non troppo impegnativa e abbastanza scorrevole. Insomma, nulla di pretenzioso sia da parte di chi scrive sia di chi legge.

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