
TITOLO DEL LIBRO: Un buon posto in cui fermarsi
AUTORE: Matteo Bussola
COPERTINA: Matteo Bussola
GENERE: Narrativa
EDITORE: Einaudi
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2023
PAGINE: 151
CODICE ISBN: 978-88-06-25447-6
GIUDIZIO: ★★★☆☆
Se in Il rosmarino non capisce l’inverno (2022) Bussola aveva indagato l’animo femminile, ad un anno di distanza si focalizza su quello maschile attraverso le storie di 15 uomini di età, status sociale e provenienza differenti. Ognuno di loro con il proprio bagaglio di vita, le proprie aspettative e la comune convinzione che il proprio destino sia solo uno: quello per cui hanno duramente lavorato, quello che si sono scelti, quello che gli è capitato in sorte o quello che non riescono a compiere. Ma cosa accade quando la vita ti stravolge i piani e ti mette di fronte al fatto che, forse, ciò che desideri è diverso da ciò a cui pensavi di essere destinato? In soldoni una sorta di sequel del libro pubblicato nel 2022, anche se le due narrazioni sono totalmente slegate l’una dall’altra e non è quindi necessario conoscere la prima per poter comprendere la seconda. Spinta dalla curiosità che caratterizza la maggior parte dei topi di biblioteca, ho deciso di continuare questa mia avventura alla scoperta dell’animo umano e mi sono addentrata nella lettura di questo secondo volume.
La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere, un obiettivo da centrare, ma una piccola stanza da arredare con cura. Non è una cima da raggiungere a tutti costi. È la scelta di un buon posto in cui fermarsi.
Dopo un’introduzione anche in questo caso carica di frasi fatte, l’autore ci offre una serie di spunti interessanti. Il primo viene dalla storia di Solomon, il quale ci ricorda come troppo spesso le definizioni di immigrato, migrante, rifugiato e clandestino vengano usate come fossero sinonimi di criminale, quando invece si tratta di termini diversi e a seconda di quello che scegli puoi leggere una storia differente, puoi mutare destini. Perché alcune di queste parole dicono dell’uomo, del suo percorso e dei suoi bisogni, dei suoi desideri.
Pietro invece ci mostra il disagio di un adolescente che non riesce a comunicare il proprio dolore, un dolore che diventa rabbia nei confronti di una società che lo guarda come se alla sua età non si avesse il diritto di stare male, perché a 15 anni si deve essere felici per forza. A scuola tutti credono che sia quello buffo e divertente, che li fa ridere, ma che in realtà li fa ridere proprio per alleggerirli delle sue sofferenze. Nelle dure parole che rivolge al padre ci offre poi uno spaccato piuttosto realistico di quelle che possono essere le difficoltà che si trovano a dover affrontare gli adolescenti al giorno d’oggi.
A capire Pietro però c’è Misha, un hikikomori conosciuto online che trova la forza di uscire di nuovo dalla sua camera e affrontare il mondo esterno solo per aiutare quella che apparentemente è l’unica persona al mondo capace di comprendere il male che lo attraversa.
Per il resto il libro presenta le stesse dinamiche del precedente, dalle frasi fatte ai piccoli dettagli che caratterizzano ciascun capitolo. Ne è un esempio l’uomo del quarto capitolo che tradisce la moglie e muore in un incidente d’auto: sarà forse la stessa storia che si focalizza prima sul punto di vista della vittima e sul punto di vista del traditore poi?
In questa narrazione tutta al maschile però ho trovato la maggior parte delle storie meglio costruite e meglio argomentate, dunque anche più interessanti rispetto a quelle del libro precedente. Nonostante i toni sdolcinati di qualche capitolo e i luoghi comuni e le frasi ad effetto che abbondano in quasi tutto il libro, la narrazione è comunque godibile, chiara e scorrevole.
Altra nota positiva è sicuramente la messa in scena delle fragilità maschili, della loro anima gentile e della loro solitudine, parole queste che generalmente non vengono associate agli uomini. Solitamente sono le storie di donne a dare più spazio ai sentimenti, positivi o negativi che siano, e devo dire che ho apprezzato questa caratterizzazione un po’ più umana di quello che spesso viene descritto come il genere che sa quello che vuole e non può tentennare, figuriamoci avere paura!
Ahimè, ancora una volta però dovrò scusarmi con quel cospicuo numero di lettori che vedono Un buon posto in cui fermarsi come un compendio di storie di vita, un libro strepitoso, travolgente, addirittura provvidenziale, da leggere e rileggere; mentre per me rimane un libricino dalla trama povera e dai racconti forse un po’ banali tanto da intuire quasi fin dall’inizio di cosa si sta parlando e dove si vuole arrivare, rassegnandomi così all’idea che forse Bussola non è l’autore che fa per me.

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