
TITOLO: Chi dà luce rischia il buio
AUTORE: Giulia Ciarapica
COPERTINA: Giulia Neri
GENERE: Narrativa
EDITORE: Rizzoli
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2022
PAGINE: 384
CODICE ISBN: 9788817163866
GIUDIZIO: ★★★★★
Se mi si domandasse come sono giunta tra le pagine di questo libro, la risposta sarebbe molto superficiale (ma d’altronde, sono una gran sostenitrice della superficialità): la prima ragione è la copertina celeste, la seconda è il campanilismo. L’autrice è Giulia Ciarapica, e Ciarapica è un cognome in cui, dalle mie parti, è frequente imbattersi. Attirata da suoni familiari, vengo a scoprire che il libro è ambientato a Casette d’Ete, paese confinante col mio e nel quale, per un motivo o per l’altro, mi sono trovata a trascorrere diverse giornate nel corso della vita.
Tutto il romanzo ruota attorno a Casette d’Ete, paesino marchigiano che tutto ricorda e tutto abbraccia. Siamo negli anni Sessanta, e in questi anni a Casette d’Ete è successo qualcosa di straordinario: un piccolo paesino, anno dopo anno, si è trasformato in un vero e proprio impero delle scarpe, intriso però di quella provincialità che solo l’entroterra marchigiano può offrire. «I casettari, le cose, non le hanno mai capite, le hanno sempre sapute, molto prima che diventassero reali. Senza chiedersi né come né quando né perché, si sono ritrovati a fare scarpe su scarpe […]. A poche centinaia di metri gli uni dagli altri, i laboratori sono diventati ripostigli in cui conservare tasselli di un vecchio mosaico, lasciando il posto a capannoni più grandi: le prime, vere fabbriche. Entrano ed escono padroni e operai, pronti a infilarsi dietro le macchinette, di fronte ai primi macchinari. Prendono dimestichezza con i nuovi strumenti ma l’obiettivo è lo stesso da anni. Nell’enormità del nuovo, a conti fatti, persistono le origini. La stessa fretta nelle mani e la stessa scintilla negli occhi; lo stesso timore di non fare abbastanza, la stessa superbia nel pensare che il mondo sia racchiuso in un paio di scarpe.»
Chi dà luce rischia il buio potremmo considerarlo un romanzo famigliare. Viene narrata la storia della famiglia Verdini, antenati dell’autrice Giulia Ciarapica. Il capofamiglia, Valentino, è il padrone di un’azienda, la Valens, che gestisce in maniera illuminata assieme alla moglie Giuliana; i due hanno tre figli: Bianca Maria, Gianna e il piccolo Geremia. La fabbrica, nel corso del romanzo, grazie allo spirito imprenditoriale di Valentino e alla lungimiranza di Giuliana, cresce fino a raggiungere dei numeri mai visti prima nella zona, e nel frattempo a crescere sono anche Bianca Maria e Gianna, che si ritrovano nel bel mezzo dell’adolescenza, coi primi amori e le prime crisi che mettono in discussione l’assetto famigliare. Ma siamo in provincia. E in provincia a vincere sono sempre le radici, che continuano a legare tutti gli abitanti in un intrico dall’esterno incomprensibile e che a volte incomprensibile lo è persino dall’interno, ma ogni cosa ne è pregna.
Ciò che più mi è piaciuto di questo romanzo è che l’autrice non ha dovuto spiegare nulla; non si è fermata a descrivere il paese o i caratteri dei protagonisti, ma tutto risulta chiaro dalle azioni che i personaggi hanno compiuto e dalle dinamiche che si sono instaurate. Legami solidi, che sopravvivono a tradimenti e incomprensioni; figli che cercano di emanciparsi, ognuno secondo il proprio carattere e i propri valori; un rapporto madre-figlia che è ancora attualissimo e, oserei dire, lo specchio di una società intera, in cui certe cose, certi affetti, esprimerli con le parole è vietato, perché vorrebbe dire mostrarsi deboli, vulnerabili.
E poi il lessico, le espressioni che usano i personaggi. Non mi era mai capitato di trovare un libro ben scritto in cui all’italiano si inframezzavano dialoghi in dialetto elpidiense, e trovarli qui è stata una sorpresa molto gradita, che mi ha tenuta ancora più salda al libro, ancora più attaccata a quella terra così limitante, eppure indispensabile.
Per concludere, sarà il campanilismo, sarà che in certe dinamiche ci ho sguazzato un’esistenza intera, ma questo libro mi ha fatto più volte sorridere e più volte commuovere, e non capita spesso. Se non si fosse capito, io questo libro l’ho amato, e mi sento di consigliare Chi dà luce rischia il buio a chiunque abbia voglia di farsi un viaggio nelle Marche degli anni Sessanta-Settanta e di farsi stritolare dall’abbraccio della provincia, o più semplicemente abbia voglia di leggere un bel romanzo famigliare.

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