
TITOLO: Hunger Games – L’alba sulla mietitura
AUTRICE: Suzanne Collins
TRADUZIONE: S. Brogli, A. Roccato
GENERE: Narrativa
SOTTOGENERE: Fantascienza
EDITORE: Mondadori
DATA DI PUBBLICAZIONE: 18 marzo 2025
PAGINE: 358
CODICE: 9788804796909
GIUDIZIO: ★★☆☆☆
Con L’alba sulla mietitura la saga di Hunger Games si arricchisce di un nuovo capitolo, andando a espandere l’universo ideato da Suzanne Collins. Come per La ballata dell’usignolo e del serpente, anche in questo caso abbiamo a che fare con un prequel, in quanto il protagonista dell’ultimo libro è un personaggio ben noto ai fan: Haymitch Abernathy.
Incuriositi dalla nuova uscita, ci siamo buttati a capofitto nella lettura per poi accorgerci, durante uno scambio di pareri, di aver avuto nostro malgrado un’impressione tutto sommato negativa: a entrambi è parso che il romanzo sia stata una bella idea, ma gestita male. Una bella idea perché, se qualcuno meritava una storia entusiasmante, quello era proprio il vincitore della Seconda Edizione della Memoria. Quanto alla cattiva gestione, le motivazioni sono molteplici: personaggi, temi, scelte discutibili rispetto alla trilogia madre; insomma, molto sembra essere stato condotto in maniera superficiale.
Che altro dire se non: che i Giochi abbiano inizio.
Personaggi
In generale abbiamo notato un’evidente sproporzione tra la quantità di personaggi che appaiono sulla scena e la loro rilevanza ai fini della trama, nonché problemi a livello di caratterizzazione.
Innanzitutto, ritornano nomi che, più che avere un’effettiva importanza per il prosieguo della storia, non sono altro che comparse di dubbia utilità, e se un’utilità ce l’hanno, questa risiede tutta nel compiacere gli habitué della saga. Se, per esempio, stessimo recensendo un videogioco, parleremmo di una sequela infinita di easter eggs, ovvero dell’inserimento di citazioni e di riferimenti da opere precedenti, il cui unico scopo è suscitare nel fruitore una certa nostalgia. Ma se togliessimo al libro questo miscuglio di citazioni e fan service, della trama rimarrebbe ben poco: l’ennesimo Hunger Games con un protagonista che potrebbe tranquillamente non essere Haymitch, ma un “conterraneo” qualsiasi del Distretto 12.
A sostegno di questa tesi vi è il fatto che i pochi personaggi inediti, a parte forse una, sono dimenticabilissimi, delle macchiette più che dei personaggi, tanto che quando giunge il famoso colpo di cannone a confermare la loro dipartita – tra l’altro del tutto prevedibile – il lettore non prova alcun dispiacere per la perdita. Questo accade perché Collins non ci concede nemmeno una caratterizzazione adeguata per poterci affezionare davvero a loro.
L’unico di cui ci interessa relativamente qualcosa è il protagonista, ma conoscendo già – dai libri precedenti – gli esiti dei suoi giochi, ci viene tolta anche la possibilità di provare una certa apprensione nei suoi confronti, nonostante i numerosi inganni e le insidie dell’arena e dei suoi strateghi. Haymitch, come se non bastasse, è un protagonista a tratti insopportabile e i suoi continui sbalzi d’umore non fanno che diminuirne la già scarsa simpatia. Per non parlare degli infiniti elogi che riserva, praticamente in ogni capitolo, alla sua amata Lenore Dove. E noi perché dovremmo amarla invece? Collins ce la presenta come una ragazza pura e dai nobili intenti, una vera ribelle, quando in realtà i pochi suoi atti di ribellione non solo sono del tutto inefficaci, ma puntualmente mettono in pericolo tutte le persone che le gravitano attorno, lei compresa. Lenore, per quanto l’autrice si sforzi di farci credere il contrario, è un personaggio egoista oltre che egocentrico: un’oca giuliva in mezzo alle oche. Chi ha letto il libro capirà questa nostra valutazione.
Temi
Una grande differenza riscontrata rispetto ai libri precedenti sta nell’assenza di un tema fondante. Se nella trilogia principale (dove la telecamera e la recitazione erano armi potenti quanto le bombe) il leitmotiv era dato dall’importanza vitale dello spettacolo e della messinscena; e se nel primo spin-off emergeva il discorso sulla necessità di un potere assoluto che confinasse la libertà per garantire ordine ed evitare conflitti civili, nell’Alba sulla mietitura si assiste ad una cattiva gestione di questo aspetto. A dire il vero, in questo romanzo c’è un tema con basi filosofiche interessanti, ovvero il paradosso dell’oppressione di un intero popolo da parte di una ristrettissima minoranza, cosa che accade non solo per via dei potenti mezzi di coercizione di cui dispongono i governanti, ma anche per la tendenza da parte degli oppressi ad accettare passivamente lo status quo. Il tema è appunto, interessante; peccato che nella pratica questo compaia in pochissime circostanze e solo nella prima metà del libro, per poi essere completamente abbandonato.
Inoltre, nel romanzo un monito ricorrente invita alla riflessione sulla resistenza passiva «Non permettere che ti usino!». In altre parole, impedire di farsi mettere i piedi in testa difendendo la propria dignità, ma senza cedere alla violenza. Il problema è che neanche questo tema viene approfondito adeguatamente e resta qualcosa che viene solo menzionato di tanto in tanto.
Una scelta azzeccata? (Spoiler: no)
Collins ha deciso di intraprendere una strada molto rischiosa per l’espansione del suo universo, in quanto la trama è stata costruita a partire da una digressione presente nel secondo capitolo della saga. Per questo motivo i lettori già conoscono lo svolgimento di alcune vicende (anche salienti), e questo annulla quasi del tutto il fattore sorpresa. Tuttavia, a nostro parere, il risvolto negativo peggiore di questa scelta di convertire, in un romanzo stand alone, ciò che in origine era stato concepito come un sommario racconto nel racconto senza alcun fronzolo, sta nella farraginosità complessiva dell’opera a livello sia logico che narrativo. Infatti, narrare un prima e un dopo gli eventi delineati nella Ragazza di fuoco in modo tale che il tutto risulti coerente e al tempo stesso tenga il lettore incollato alle pagine è già di per sé un’impresa ardua. Come se non fosse abbastanza, completare ed ampliare ciò che è già stato scritto con nuovi dettagli, facendo acrobazie sul non detto, si tramuta molto spesso in un gioco a incastro che troppo facilmente dà adito a forzature o scelte prive di spessore.
In poche parole, pare che l’autrice abbia voluto complicarsi la vita nel produrre qualcosa di nuovo ma vincolato dalla sua stessa precedente creazione, come se si fosse legata le mani da sola.
Forse la fortuna non è sempre a favore di qualcuno, neanche dell’autrice in questo caso.
Per fare il punto della situazione, la nostra sensazione è che Collins, più che raccontare le vicissitudini che hanno portato il protagonista ad essere l’ambiguo Haymitch della trilogia di partenza, abbia confezionato a regola d’arte un grande fan service per i suoi lettori, e povero di sostanza per giunta. L’Alba sulla mietitura, infatti, non si è dimostrato all’altezza né delle aspettative, né dei suoi predecessori. L’opera si è rivelata un’occasione mancata per raccontare la storia di Haymitch: una figura così ermetica e interessante era meritevole di una storia che si addentrasse maggiormente in territori inesplorati, per esempio dando meno spazio ai giochi per conferirne di più a cosa succede al futuro mentore una volta “sconfitto” dai giochi stessi.

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