
TITOLO LIBRO: Lapvona
AUTRICE: Ottessa Moshfenegh
TRADUTTRICE: Silvia Roti Sperti
ILLUSTRAZIONE: Agnus Dei di F. de Zurbarán
GENERE: narrativa
EDITORE: Feltrinelli
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2023
PAGINE: 270
CODICE ISBN: 978-88-07-03535-7
GIUDIZIO: ★★★☆☆
Un solo anno, questo è il tempo che ci è concesso di trascorrere a Lapvona, un villaggio medievale timorato di Dio e che non ci è dato sapere esattamente dove si trovi. Tutti i contorni di questo romanzo, infatti, appaiono decisamente sfumati, poiché ci sono cose a Lapvona che è meglio tacere, piuttosto che lasciare che vengano a galla. Marek, il protagonista del romanzo, è proprio il primo a farne le spese. Figlio deforme di un pecoraio che da sempre lo tiene legato a sé con mezze verità, Marek cresce nella menzogna fino a che la vita, come un fiume inesorabile di eventi, lo porterà faccia a faccia con tutt’altro destino: da una condizione di estrema povertà si ritroverà infatti a vivere nel castello del signorotto locale, Villiam. Quest’ultimo è un nobile viziato e annoiato dalla vita di corte che conduce, infatti fa di tutto perché i membri della sua servitù lo intrattengano in qualsiasi modo, tanto che lo stesso Marek sembra ritrovarsi lì proprio a questo scopo. Tutto ciò sembra avvenire in uno spazio fuori dal mondo, mentre all’esterno, in estate, il villaggio di Lapvona viene colpito da una siccità senza precedenti e che condurrà i pochi abitanti ad atti nefandi e crudeli. Oltre tutto, l’incomunicabilità che si erge come un muro tra i vari personaggi diventa occasione di fraintendimenti e di situazioni al limite del grottesco e del parodico. L’impressione generale è quella di assistere al dispiegarsi di un mondo crudele e dominato dalla violenza. Tutti i personaggi di quello che definirei piuttosto un romanzo corale, infatti, sembrano essere mossi da un istinto feroce e quasi animalesco. Eppure, nonostante le terribili vicende a cui assistiamo, lo stile completamente distaccato che adotta la Moshfegh, impedisce quasi di empatizzare con le estreme sofferenze che attanagliano i protagonisti, di modo che a volte ci sembrerà di essere dei semplici spettatori passivi del mondo estremamente grottesco creato dall’autrice. Quest’ultima, infatti, non ha alcuna pretesa di spiegare gli eventi che racconta, piuttosto sembra quasi suggerirci di trovare da soli un significato a ciò che ci sta narrando. Nonostante queste premesse, insomma, ho trovato comunque interessante il fatto che, seppure la narrazione si svolga in un periodo storico parecchio lontano dal nostro, i sentimenti e le emozioni che vi entrano in gioco siano invece molto moderne. Proporrei questo romanzo, infatti, a chi è amante delle favole nere, delle atmosfere cupe, ma dominate da una sottile ironia. Il consiglio che mi sento di dare, in definitiva, a chi volesse approcciarsi alla trama intessuta dalla Moshfegh, è quello di lasciarsi trasportare dagli eventi, così come succede ai protagonisti stessi del romanzo.

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