M, il figlio del secolo

6 Feb , 2025 - Serie tv

TITOLO: M, il figlio del secolo

REGISTA: Joe Wright

GENERE: drammatico 

ANNO: 10 gennaio 2025

NUMERO PUNTATE: 8

RECENSIONE: ★★★★★

«Io son come le bestie, sento il tempo che viene».

Il tempo che viene è oscuro: nuvole nere, pesanti quanto il piombo, già si intravedono in lontananza, ma presto travolgeranno tutto e tutti con la potenza inarrestabile dei peggiori temporali. L’aria ruggisce, si prepara a colpire, è una bestia da troppo a digiuno.

Italiani, perdonate la retorica, ma ci vogliono immagini vivide, metafore suggestive, parole potenti per prendervi alla pancia, per smuovere la bestia che giace in ognuno di voi. Vedrete che, col tempo, anche voi amerete questa creatura bellissima, anche voi amerete il fascismo.

Queste, più o meno, sono le premesse di M, il figlio del secolo, serie tv tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati e diretta dal regista inglese Joe Wright.

Vorrei chiarire fin da subito, però, che questa non vuole essere una vera e propria recensione, quanto più un insieme di impressioni, emozioni e riflessioni personali che la serie mi ha suscitato. Lascio volentieri agli esperti il compito di analizzarla da un punto di vista più tecnico, riservandomi il diritto di parlarne da semplice spettatore.

L’impressione generale è comunque molto positiva, ma andiamo per ordine.

L’interpretazione di Benito Amilcare Andrea Mussolini da parte di Luca Marinelli, a mio parere, è superba, tale da rendere il protagonista allo stesso tempo affascinante e grottesco, potente nei momenti più fragili e fragilissimo in quelli di gloria, patetico al punto da risultare comico e tanto serio da diventare un personaggio tragico. Insomma, tutto e il contrario di tutto, proprio come il fascismo, proprio come Mussolini.

Marinelli sembra interpretare una macchietta e, in effetti, il suo Mussolini suscita una grande ilarità: è un comico, un prestigiatore, un carismatico venditore di fumo, eppure non si esaurisce in questo, è molto di più, è molto più umano rispetto a quel mostro, a quell’orco ripugnante che l’immaginario comune ci ha tramandato nel tempo. Ed è questo a spaventare: scoprire che dietro l’orrore di una maschera, c’è solo un uomo. Un uomo per il quale, non senza un grande stupore, ci si ritrova in certi frangenti a parteggiare, a fare il tifo per lui, perfino a empatizzare, per poi accorgersi che, in realtà, questa non è la storia dell’eroe che, tra mille peripezie, alla fine trionfa sul male, semmai esattamente il contrario. Mussolini è l’antieroe, colui che con i mezzi più deplorevoli e contro ogni aspettativa, infine raggiunge il suo scopo…ma a quale prezzo?

Ho ascoltato diversi pareri prima di dire la mia e mi sono sinceramente stupito nel sentire alcuni lamentarsi di un mancato intento educativo della serie, la quale, oltre ad essere storicamente inaccurata, addirittura glorificherebbe il fascismo e Mussolini stesso. Lasciando da parte il mio parere personale, secondo il quale non è detto che una serie tv, o qualsiasi altro prodotto di intrattenimento, debba per forza “educare” o lasciarci una “morale” finale, il solo fatto che l’opera spinga lo spettatore a mettere in dubbio non solo le vicende, ma addirittura se stesso, ritengo sia estremamente “educativo”.

Non mi soffermerò molto sull’interpretazione dei personaggi secondari, ma ho trovato molto convincenti le performance di Barbara Chichiarelli, che veste i panni della critica d’arte Margherita Sarfatti e di Benedetta Cimatti, che, invece, interpreta Rachele, la moglie di Mussolini.

Eccezionale anche la fotografia: le ambientazioni non sono molte, ma tutte su toni scuri, con prevalenza di colori spenti, che vanno ad accentuare il concetto di “periodo buio” della nostra storia. Su tutto, naturalmente, risalta il nero, il colore del fascismo, mentre i pochi guizzi di colore più accesi sono dati dal rosso, ovvero dal sangue che, ovviamente, rimanda alla violenza di quegli anni e dal giallo, che io personalmente ho associato alla “malattia”, ma qui possono aprirsi varie e molteplici interpretazioni.

Ho amato, inoltre, la decisione di dare come sottofondo alle vicende canzoni e/o musiche più “moderne”: l’uso del brano Can’t Help Falling in Love di Elvis Presley su una scena di particolare violenza, che tutto ha a che fare tranne che con l’amore, l’ho trovato geniale, proprio per il contrasto che suscita. Le note più da “musica elettronica”, passatemi il termine, durante i momenti più incalzanti e di maggior suspense, ma soprattutto nelle scene in bianco e nero che sembrano girate con le cineprese dell’epoca, sono un altro colpo di genio e danno al tutto un tocco di “futurismo”, dal veloce cigolio delle macchine di stampa, con i giornali che urlano titoloni, al rombare delle locomotive.

Un altro espediente utilizzato in maniera intelligente è quello della rottura della quarta parete da parte del protagonista. Mussolini si rivolge direttamente allo spettatore, come se si sforzasse di convincere non solo noi, ma anche – e direi soprattutto – sé stesso delle proprie azioni e decisioni. Anzi, io ho visto in questa rottura come una sorta di telecamera alla quale il “duce” concede la sua preferenza, una telecamera che lo segue ovunque, perché il punto focale, il centro della scena è proprio lui e il resto del mondo è il suo palcoscenico, mentre gli altri sono solo personaggi di poco conto.

Ci sarebbe molto altro da dire e su cui soffermarsi, ma questi sono i punti principali per cui dovreste affrettarvi a recuperare quello che, a mio parere (come al solito), è un piccolo capolavoro, oltretutto italiano…non vorrete mica tradire la patria, no? E poi suvvia, in questo caso diciamolo: ha fatto anche cose buone…Marinelli, intendo, a chi pensavate mi riferissi?

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