The last of us

29 Mag , 2025 - Serie tv

GENERE: Drammatico, Azione, Fantascienza post apocalittica

ANNO: 14 aprile 2025

EPISODI: 7

PIATTAFORMA: Sky, Now tv

GIUDIZIO: ★★★☆☆

Ogni sera, purché il tempo gli concedesse una pausa dai mille impegni, mio padre – le dita incallite dalle corde – lasciava che una chitarra lo rapisse fra i suoi accordi consueti.

In quei momenti la casa tutta si impregnava di note, quasi che da quelle dipendesse la solidità delle fondamenta e dei muri portanti.

Un protettore, un muro portante egli stesso sembrava nel dirigere dolcemente quelle melodie e la vita mia pure.

La sera prima che morisse non l’ho salutato, e il giorno dopo uno scambio insignificante di parole, troppo quotidiano, è intercorso fra noi a porre un addio tragicamente banale.

Il due marzo, lo stesso giorno in cui succede a Ellie, anche io ho perso per sempre mio padre.

Queste sono le premesse emotive all’articolo, sicuramente superflue, ma necessarie per comprendere il mio rapporto con il videogioco The last of us: parte II e soprattutto alcune delle critiche che esporrò in riferimento alla trasposizione cinematografica.

I fatti reali hanno reso il mio rapporto con l’opera e i suoi temi ancora più personale, tale da spingermi a capire più profondamente le ragioni che smuovono i nervi e i cuori delle protagoniste.

Attenzione: di seguito sono riportati alcuni spoiler sia sul videogioco che su alcune scene della serie. Per cui ne consiglio la lettura una volta conclusa la visione di questa seconda stagione.

«Giurami che tutto quello che mi hai detto sulle Luci è la verità».

«Lo giuro».

«Ok».

Da questo breve e per nulla definitivo confronto fra Joel ed Ellie riparte la seconda stagione, la quale tuttavia si discosta dalla controparte videoludica presentandoci fin da subito il personaggio di Abby e le sue intenzioni: trovare Joel, l’assassino di suo padre, e ucciderlo.

La prima controversia si sviluppa proprio da questa modifica. Il videogiocatore, infatti, non conosce l’infausto obiettivo di Abby e rimane scioccato quando la vede torturare Joel per poi finirlo davanti a una Ellie immobilizzata e implorante. Lo shock è doppio per il gamer, poiché da una parte vede morire un personaggio a cui si è ormai affezionato, e dall’altra non riesce ancora a immaginarne le motivazioni, scoprendole solo dopo parecchie ore di gioco.

Nella serie dunque, i registi hanno preferito togliere il fattore sorpresa, una mossa che sicuramente serve a far capire all’istante che quella di The last of us: parte II non è una storia in bianco e nero, con una netta distinzione tra bene e male o tra vittima e carnefice, quanto un racconto dipinto con le più svariate gradazioni del grigio. Da un altro punto di vista, però, viene meno quella tensione provocata dalla smania di scoprire chi è veramente Abby e quali sono i motivi che l’hanno spinta a trucidare Joel. Personalmente, in un primo momento avrei preferito che adottassero anche per la serie questo espediente narrativo, ma quando nella seconda puntata Abby espone a Joel le motivazioni per le quali lo ucciderà, ho dovuto ricredermi.

«Il comandante ci ha insegnato un codice d’onore: noi non uccidiamo le persone che non possono difendersi…proprio come te. Sappi, però, che sto per ucciderti, perché non importa se tu segui le mie stesse regole o se sei soltanto un pezzo di merda senza regole…ci sono delle cose – e vale per tutti – che sono, cazzo, sbagliate»

Kaitlyn Dever dà alla sua interpretazione di Abby una sfumatura ancora più violenta e inquietante: gli occhi fissi sulla “preda” e il tremore nella voce, che non è altro che il preludio a un grido di rabbia, sopperiscono alla mancanza di un fisico taurino come quello della ragazza nel videogioco. Le armi di questa Abby non sono le braccia possenti, ma solo la forza di un dolore coltivato per anni e trasformato in cieca furia.

Lo stesso elogio non vale, purtroppo, per la Ellie di Bella Ramsey. Il lutto che la colpisce – in tutti i sensi – non sempre traspare, anzi, in alcune scene colui che a tutti gli effetti era per lei un padre, sembra scomparire completamente dai suoi pensieri. Sarà forse scontata, ma a questo punto occorre fare una doverosa premessa: molteplici possono essere le reazioni a un lutto, lungi da me porre su una bilancia il dolore provocato da una perdita. L’intenzione non è certo quella di quantificare una sofferenza, ma se dobbiamo guardare ai temi che vogliono trasmettere entrambi i media, un confronto fra videogioco e serie tv credo sia del tutto lecito. L’elaborazione del lutto e la spietata e ossessiva ricerca di vendetta, costi quel che costi, sono le tematiche fondanti della seconda parte di The last of us, l’intero comparto narrativo si regge su tali questioni. Tuttavia, nel momento in cui esse vengono edulcorate da un’interpretazione più spensierata, come quella che Ramsey dà spesso a Ellie, ecco allora che il messaggio perde di forza.

Mi spiego meglio.

Per quanto nella serie ci si sforzi di far apparire Ellie come consumata dal dolore e dalla sete di vendetta – ed effettivamente alcune scene ci riescono molto bene – la potenza travolgente di questi sentimenti viene troppo spesso smorzata dal carattere spaccone e scherzoso della protagonista: un atteggiamento che si adattava alla perfezione alla Ellie ragazzina della prima stagione, ma che ora risulta solo sciocco e “fuori tema”. Il viaggio attraverso l’inferno che la protagonista affronta con la compagna Dina, a tratti, sembra una gita in un paesaggio post apocalittico, un quadretto d’amore fra le macerie di un mondo perduto.

In una situazione di particolare pericolo, per esempio, le due si ritrovano non solo a scambiarsi battute, ma a ribadire il sentimento d’amore che provano l’una per l’altra. 

Capisco che alcuni momenti di ironia e dolcezza siano necessari per allentare la tensione ed esorcizzare la paura, ma qui sembrano collocati nei momenti più inopportuni. C’è addirittura una scena in cui alla stessa Dina sembra essere affidato il compito di ricordare a Ellie, restia a proseguire il viaggio, il motivo per cui si trovano a Seattle: cercare vendetta contro gli assassini di Joel. Solo in due casi ho ritrovato la spietatezza che dovrebbe essere tipica di Ellie. Uno di questi – quasi tale e quale al videogioco – vede la protagonista torturare Nora per estorcerle informazioni sulla posizione esatta di Abby. Un gioco di luci d’emergenza rosse accentua le ombre sul suo viso e le due pozze nere che ha al posto degli occhi la rendono ancora più inquietante, facendo di lei una cacciatrice che non conosce pietà né ostacoli che possano farla desistere dal suo folle obiettivo.

È in queste scene che Bella Ramsey dà il meglio di sé, lasciando più spazio alla vendicatrice che conosce chi ha giocato nei suoi panni.

Ellie, nel videogioco, tiene spesso un diario, di cui vorrei riportare una parte:

«Quando troverò la pace?

Il tempo doveva bastare per estinguere il desiderio…

Perseguitata dai vostri sorrisi, la maschera si appesantisce.

Un passo avanti, due indietro.

Ho un cappio al collo, e più vado avanti più è difficile respirare.

Potrò mai tagliare questa corda?

Sto attendendo l’alba, ma la luce è scomparsa.

Forse sono già cieca…

Posso lasciarmi tutto alle spalle?»

Questa è Ellie: perseguitata dal fantasma di Joel, si chiede se troverà mai la pace, se riuscirà a lasciarsi alle spalle quella che non è più una necessità, ma un giogo che le impone di cercare Abby e ucciderla. Neanche lei ne capisce il senso, ma questo “dovere” che si è imposta non la fa più vivere: «Non mangio più, non dormo più.» spiega a Dina. Raramente vediamo sorridere Ellie, perché il suo è un tunnel che sembra non avere una fine. Non ha tempo di essere spensierata e, anzi, quando scopre che Dina è incinta si incollerisce, in parte perché preoccupata per l’incolumità della sua compagna, ma soprattutto perché questo fatto potrebbe obbligarle a lasciare Seattle e impedire a lei di proseguire l’assidua ricerca di Abby. Ellie fa terra bruciata intorno a sé, tiene alle persone che la accompagnano nel suo folle viaggio, ma appena può se ne libera, li lascia indietro, come lei è stata lasciata indietro (“Left behind”, vi dice nulla?) prima da Riley (il suo primo amore) e poi da Joel, con la cui perdita le è stata portata via anche la possibilità di poterlo perdonare o, almeno, di potergli dire addio.

La Ellie del videogioco ha spesso uno sguardo assente, quasi sempre perso nei ricordi di quel trauma che vorrebbe poter cancellare. Rumori particolarmente violenti le ricordano subito i colpi di mazza da golf sul corpo già martoriato di Joel, la cui faccia gonfia e sanguinante la perseguita di giorno come di notte. Facendo sparire Abby si illude che spariranno anche quelle crude immagini, ma se anche riuscisse nel suo intento, cosa rimarrebbe di lei? Vendicarsi è veramente la soluzione? Questa è Ellie e questo è The last of us: parte II. Distaccarsi dal personaggio e dall’opera originale, in questo caso, rischia di snaturare il tutto.

A mio parere, consiste in questo l’unico vero problema della seconda stagione: Ellie, in certi casi, non si comporta da Ellie. E, attenzione, non si tratta di fare una riproduzione uno a uno dell’opera di partenza, poiché il media con cui viene raccontata la storia è diverso, ed è naturale apportare delle modifiche per renderlo più “fruibile” in un certo senso, ma spesso si confonde il modificare con il cambiare. Nel primo senso si possono anche fare delle aggiunte significative, ampliare alcuni discorsi, oppure tralasciare le parti più superflue, nel secondo il pericolo è quello di stravolgere personaggi e tematiche fondamentali.

Quest’ultimo, per fortuna, non è proprio il caso della serie tv che, sì, con Ellie compie alcuni scivoloni, ma poi si rialza portando sullo schermo il vero senso dell’opera.

Per il resto le ambientazioni sono state ricostruite alla perfezione, tale che chi, come me, ha giocato al videogioco, si ritrova piacevolmente sconvolto dalla dovizia di particolari.

Le scene dell’assedio di Jackson da parte di un’orda di infetti, che nel videogioco non esistono, ci regalano momenti mozzafiato e chi, nella prima stagione, si era lamentato della scarsità di funghi particolarmente aggressivi – concedetemi l’espressione – qui viene ripagato con tanto di interessi.

Anche gli inquietanti e furtivi “stalker” vengono introdotti nella serie attraverso un colpo di genio, facendoli passare come un’evoluzione più “intelligente” del Cordyceps.

Da questo punto di vista l’amore per l’opera originale si percepisce tutto e, anzi, le conferisce un valore aggiunto. Stesso discorso valga per le musiche di Gustavo Santaolalla che con la sua chitarra pizzica sempre le corde giuste nei momenti giusti.

Altro problema, invece, è il minutaggio degli episodi e nello specifico il tempo che viene concesso ad alcune scene piuttosto che ad altre. A parte rare eccezioni, la sensazione generale è che ci sia troppa fretta: spesso, come nel caso dell’infiltrazione di Ellie nell’ospedale del W.L.F., non solo il passaggio fra una scena e l’altra risulta repentino, ma poi ai momenti più interessanti e significativi vengono riservati solo gli ultimissimi minuti della puntata, cosa che ho trovato piuttosto frustrante.

Avrei preferito che tagliassero alcuni discorsi poco essenziali per dare maggior spazio alle scene più impattanti, o che almeno facessero durare di più determinate puntate.

Ci sarebbe ancora molto da dire, ma non voglio dilungarmi oltre e rischiare di fare ulteriori spoiler: tocca ora allo spettatore esprimere un suo giudizio.

Per quanto mi riguarda, rispetto alla prima stagione, questa seconda parte, per i motivi di cui sopra, vive di luci e ombre, di scelte azzeccatissime e altre molto meno, ma a prescindere da tutto ne consiglierei fortemente la visione, con la speranza che nella terza stagione o, chissà, nella quarta, venga approfondito quel lato spietato ed estremamente malinconico della Ellie tanto amata e odiata nel videogioco.

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